Arcipelaghi e geografie sommerse

Breve riflessione sulla poesia cyborg

Il lavoro sul linguaggio non ha perso la sua urgenza negli ultimi anni e, a mio modesto parere, continua a rinnovare la sua centralità tra gli autori più significativi. Il privilegio anagrafico della generazione alla quale appartengo le dà la possibilità di distinguersi nell’affrontare questo esercizio esprimendo particolare permeabilità a codici e situazioni che sono state censite solo parzialmente entro i confini dello spazio letterario.

Affrontiamo, dunque, la sfida di colmare “buchi letterari” al pari di ciò che avviene, nella produzione scientifica, con i “buchi di conoscenza” e, con riferimento alla poesia, partendo dall’assunto che ogni esperienza linguistica può, se opportunamente processata, occorrere entro i confini dello “spazio letterario”. Non è dunque urgente né necessario il dichiarato rapporto genealogico con opere preesistenti se non nei termini di un’esperienza tecnica, le tecniche di scrittura.

La presunta cesura tra gli autori nati dagli anni Ottanta del Novecento in poi e quelli operanti e che appartengono alle precedenti generazioni è, sotto la prospettiva di mio interesse, solo illusoria. Infatti si concentrerebbe solo su elementi perimetrati dal piano sociolinguistico e non su un altro, più profondo, più difficile da indagare: quello che coinvolge la ricerca atta all’utilizzo, esercizio e rigenerazione dei codici e il metodo con il quale gli autori affrontano il processo di produzione delle opere. In altre parole codici e metodo che coincidono con la varietà specifica di italiano (o dialetto, o lingua minoritaria) che segna l’unicità di uno scrivente e le modalità conoscitive con il quale esso la determina.

L’esercizio letterario consiste nel rendere pienamente distinguibile l’utilizzo specifico che l’autore ha della ricchezza di forme di pensiero e [dunque] parole che attraversa; da questo nugolo di input, l’autore elabora nuove discorsività capaci di essere distinguibili. Si tratta, in altre parole, di un processo di estrazione arbitraria di informazioni e filtraggio: il filtro è la sensibilità specifica di questo soggetto e l’esito è una forma modellata, a pressione, dalle maglie della sua creatività.

Ciò accade in poesia, in ogni sua varietà. Nella performance, nella scrittura generativa, nella prosa in prosa – in ogni dispositivo che sposta lo spazio estetico della poesia da istanze metriciste e che, oltretutto, può porre immagini e parole in dialogo, o deteriorare i confini dei caratteri fino renderli irriconoscibili; insomma, in ogni esito dell’esplorazione di visioni progettuali policrome. Questa azione di vaglio può limitarsi a circoscrivere, nell’insieme dei corpora, porzioni di testo (od oralità – nella situazione in cui, per esempio, si desideri lavorare su corpora di registrazioni) e indicarle come poesia, o raccogliere materiale differenziato sul piano dei media (fotografie, opere di arte digitale, linguaggio di programmazione, musica, realtà virtuali, giochificazione etc.).

Materiale, quindi, che una volta raggruppato (cut-up dei corpora) assume l’aspetto di un nuovo insieme. È ovvero in questo processo compilativo e di rielaborazione che si manifestano nuove capacità, o capacità rinnovate, dunque: simili talenti pertengono al decisore, poeta progettista, poeta urbanista o geografo – soprattutto poeta che, nel deterioramento dei dati, dei ricordi, delle strutture, opera un rammendo capace di cogliere – come fosse un arazzo che organizza migliaia di scampoli – la prefigurazione di scenari futuri.

Lo spazio letterario ha dunque la possibilità di estendersi a tal punto che una cosciente pratica linguistica può garantire a qualsiasi ambito del sapere ed esperienza di situarvisi, sia tramite un’opera di riscrittura, sia grazie a un processo arbitrario di selezione e ricomposizione. Come nella fotografia, il poeta stabilisce ciò che il suo negativo debba registrare e quanto, invece, da esso vada escluso. Il poeta stabilisce gerarchie di informazione che nella mia metafora sono: porzioni di palazzi, volti, corpi – muovendoci dal macroscopico, dalla geomorfologia, al close-up. Da appartamenti, compound, complessi industriali, indistinte regioni coperte da foschia inghiottite nel fumo degli incendi o da altri fenomeni atmosferici di antropocene a costellazioni.

Corpi, si diceva, e persone la cui voce tende a sovrapporsi a quella degli apparati tecnologici: voci prodotte da intelligenze artificiali e risponditori automatici [Francesca Gironi, nella performance: GBTƏ, 2021]; poi assertività saggistica, sarcasmo; fredde discorsività di potere che si antepongono a figure che inquadrano soggettività oppresse [Alessandra Carnaroli, Sespersa, Vydia, 2019]. Quindi gerghi, lingue minoritarie, dialetti, neo-standard [Fabio Franzin, Corpo dea realtà, Puntoacapo, 2019]; poesia narrativizzante [Noemi De Lisi, La stanza vuota, Ladolfi, 2018]. Italiano mobile; lingue speciali, quella delle scienze che interrogano gli ecosistemi [Simona Menicocci, Il mare è pieno di pesci, Tielleci, 2014]. La sensazione è che si assista a un tentativo di decolonizzazione degli immaginari letterari e che questo processo abbia molteplici direzioni. Per esempio quella dell’antispecismo o, se non altro, una in cui si sottolinea l’importanza di attraversare la biosfera senza corroborare visioni nelle quali la nostra specie si colloca in una posizione di vertice. All’umanità non è dunque concesso di regnare sul creato agendo un potere eterodiretto, divino.

Aria, minerali, acqua, persone, piante e animali si confondono i loro contorni in un aerosol, si mischiano le sostanze. Se il passato ci appare sempre più fuori-fuoco ci è altrettanto impossibile, come nella celeberrima immagine benjaminiana, volgere il nostro sguardo al domani. Ci muoviamo sempre più giù, percependo nella nostra carne, sulla nostra pelle, dentro e fuori di noi, gli effetti di una spirale discendente in cui mente e sistema nervoso sono inscindibili, (embodied cognitition). Avviene quindi il superamento della dicotomia spirito/creatura – secondo le forme di pensiero cyborg e postumane e la quotidianità coincide con forme di dissociazione, secondo alcuni, di estensione del sé, secondo altri determinate dal costante ricorso a dispositivi smart capaci di diffondere abitudini tra gli utilizzatori e omologare i meccanismi di fruizione delle esperienze entro lo spettro del capitalismo cognitivo (tentativi di attribuire una voce agli strumenti di conoscenza e ai dispositivi mentre si disintegra il confine tra noi e loro, ancora Francesca Gironi).

Il sapere planetario, cioè la conoscenza del nostro pianeta, sebbene possa e debba essere reso fruibile presso un pubblico mediano (surriscaldamento globale), rigenera ed estende con costanza il suo perimetro quando il tentativo è di osservare fenomeni molto più circoscritti così come questi rispondono al costante stato di crisi che caratterizza la stagione del realismo capitalista [AA. VV., Intatto – Ecopoesia, La vita felice, 2017].

Cambia, come molti hanno osservato, il rapporto biologistico, genealogico, con le opere che già sono poste all’interno di questi confini, quelli dello spazio letterario. La sperimentazione a cui mi riferisco spesso esclude dalle sue fonti di immediata rintracciabilità quelle letterarie cioè ciò che è già reperibile nello spazio letterario che, ricordiamolo, è innanzitutto, un frame socio-linguistico [non si tratterà in questa sede della sterminata produzione dilettantistica che trova nella eco distante dei classici antichi e moderni, classici acquisiti per riflessione durante la scuola dell’obbligo, il suo riferimento. Ovvero l’insieme di pubblicazioni omologatrici, quelle alle quali ogni italofono si rivolge con il suo sguardo interiore quando si interroga su che cosa si definisca con la parola “poesia”].

Il territorio della letteratura conosce uno sviluppo che, all’apparenza, è meno organizzato rispetto al Novecento. Non è però caotico, sprawl, solo perché scevro da quei protocolli che hanno segnato l’organicità sociale e militante del passato – un passato che aveva la capacità di perimetrare la militanza e darle quindi una direzione anche nella prospettiva letteraria.

Quella a cui assistiamo oggi è una confusione ingannevole, un mascheramento degli strumenti adoperati per produrre nuove testualità derivante dalle modalità con cui gli autori stabiliscono i loro riferimenti quando stendono le loro poesie – le eco sono presenti ma provenendo da fonti ed esperienze tra loro molto distanti, e non necessariamente letterarie, individuarle e ricostruirne la genealogie è un esercizio filologico impossibile da affrontare se non consultando i poeti stessi o, parzialmente, utilizzando strumenti computazionali. Lo scenario che abbiamo davanti è puntinato di voci ben riconoscibili e la cui reciproca vicinanza è, solo sugli esiti linguistici superficiali, dubbia ma accomunata dalle scelte operative che ho appena descritto – possiamo accedere, con immediatezza, grazie all’elettronica, a una mole di dati enorme se interroghiamo opportunamente la rete e le banche dati; chi ha accesso a una biblioteca [virtuale] universitaria può scaricare documenti che riguardano ogni nicchia del sapere; gli algoritmi indirizzano il nostro doomscrolling fornendo, con costanza, carburante al motore della nostra curiosità – attingendo al pozzo inesauribile in cui milioni di utilizzatori/produttori versano le loro registrazioni audio/video.

Si sono utilizzate varie espressioni, per riassumere un simile scenario: costellazione, pulviscolo – personalmente utilizzo “arcipelago” così da significare che, sotto la superficie dell’oceano, gli elementi emersi sono pur sempre espressione della stessa dimensione geologica – di regole (e mai prescrizioni) – che accomunano sia le generazioni entranti che gli autori storicizzati tutt’oggi attivi. Tali forze magmatiche (evitando in questo discorso ogni eco luziana) sono quelle della società capaci di influenzare qualsiasi autore e di fornire i materiali utili per una produzione contemporanea che, come abbiamo visto, sono estremamente eterogenei. Contemporanea, appunto, e mai attuale, d’occasione – come gli oggetti di consumo che esauriscono il loro valore d’uso in un esercizio di mercato.