Martedìpoesia
Natura: il tema dei martedìpoesia del 4 aprile alle 18.00.
Natura, paesaggio, ambiente: l’essere umano si muove nello spazio, portando con sé il proprio vissuto. Siamo situati e incarnati nello spazio in cui ci muoviamo, che è sempre abitato dallo sguardo e dalla memoria. Potremmo quasi dire che la rappresentazione della natura è mitica e affonda nel simbolico della nostra specie.
Nel mondo classico la natura tende ad essere contemplata in rapporto al fare dell’uomo; l’urbs viene preferita alla rus; silva è addirittura il luogo dell’errore e, per Platone, della materia informe, primordiale. Óros è il luogo selvaggio, legato al sacro, al non umano, cioè i monti sono considerati le dimore degli dei o dove essi incontrano l’uomo. A nessuno sarebbe mai passato per la testa di fare trekking per scrivere il proprio nome sul libro vetta. La natura non era né umanizzata né considerata il teatro narcisista di gesti atletico-sportivi.
Wilderness è invece un’idea moderna, non naturale, che rivela il fascino e la repulsione dell’altro, nonché il desiderio di altrove, a fronte di un distacco già avvenuta dall’ambiente, che taglia dentro e fuori, città e natura, artificiale e naturale. È proprio chi vive in città, distante dalla natura, a contemplarla. Essa non è più usata, ma fruita. Nell’età moderna sentiamo la natura poiché ne siamo distanti (Schiller) e l’unica natura autentica resta la fanciullezza.
Alla fine del diciottesimo secolo, nel tempo della “rivoluzione” industriale, insieme ai connessi fenomeni dell’inquinamento e dell’inurbamento, e con l’aumento della pressione antropica, si ha una svolta estetica epocale poiché le rovine, i vulcani (Leopardi chiamava il vulcano “l’utero tonante”) evocano la fragilità e l’inconsistenza dell’essere umano rispetto allo scorrere dei secoli e alla vastità di ciò che gli sta attorno. È l’estetica del sublime, che risiede nella mente, non nella natura. Dove l’uomo è assente la natura acquista valore e da essa sgorgano le emozioni. Al contrario, per l’arte classica, che persegue un ordine idealizzante, la vastità, la vertigine, i paesaggi estremi sono esperienze negative, non interessanti.
La natura incarna così di volta in volta la vitalità del sentire, il panismo estetizzante, oppure è capace di scatenare ossessioni personali e traumi, o ancora è emblema del “male di vivere”.
La visione della natura vivente, lontana sia dalla visione scientifica sia dai culti religiosi attualmente praticati, per millenni è appartenuta alla nostra specie, per poi confluire nel mito (anche in quello della natura selvaggia), nel patrimonio folklorico o è rimasta come apertura a una realtà ulteriore. Questa idea del vivente, umano e non umano, che produce segni, creando una rete di relazioni interconnesse si è fatta spazio negli studi biologici e antropologici recenti, dando vita ad un nuovo (e antichissimo) modo di intendere la natura, con esiti diversi nelle storie narrate e nelle forme poetiche; in quest’ultimo caso, per esempio, unendo più dimensioni dello spazio, dal microscopico all’astronomico, oppure dissolvendo la centralità del soggetto in favore di altre forme di esistenza.
Quale spazio ha la natura nella vita delle parole?
Per proporre testi poetici (non necessariamente sul tema) scrivere a info@pordenoneleggepoesia.it inserendo gli stessi nel corpo mail (no allegati). Gli autori di quelli più interessanti saranno invitati a leggere durante il prossimo incontro.