In dialogo con Mariargiorgia Ulbar

Un dialogo con Mariagiorgia Ulbar, autrice del libro Hotel Aster (Amos Edizioni, 2022), a cura della redazione della Collana A27 di Amos Edizioni: Sebastiano Gatto, Maddalena Lotter e Giovanni Turra.

 
 

Ogni buon libro contiene una storia che chiede di essere messa sulla carta. Quale urgenza ti ha spinto alla scrittura? E poi, si tratta di un libro che è nato in un unico respiro o lo hai costruito nel tempo?

MU: La storia di questo libro è singolare: vivevo ancora a Bologna e con un amico scrittore, che come me viveva in città, iniziammo a scriverci per posta elettronica, per sopperire al fatto che, benché collocati a poca distanza, le nostre rispettive nature indecise, ansiose, procrastinatrici ci impedivano di incontrarci di frequente. Il gioco consisteva nell’inviarsi un testo che poi l’altro/a avrebbe continuato o usato come spunto per rispondere. Così ci fu un iniziale scambio di due o tre lettere, poi lui mi consigliò di continuare da sola e così feci. Il libro si è costruito nel tempo: è un libro di frammenti che aggregano immagini e suggeriscono una storia. Per anni poi il libro è rimasto inedito.

 

Quali le suggestioni che lo hanno nutrito, quali i riferimenti (letterari e non) che ti hanno sostenuto nel processo creativo?

MU: Nella mia scrittura la nutrizione non avviene mai in prima battuta né i riferimenti sono consapevoli, se ce ne sono, anzi, il momento della scrittura per me combacia con un momento di ignoranza totale, di sconoscenza, di pura suggestione mentale di immagini e linguaggio.

 

Quando andiamo in libreria, spesso prendiamo in mano un libro perché attratti dal titolo. Raccontaci il tuo. È stato il titolo a indicare la strada o è stato scelto alla fine del lavoro?

MU: Devo ammettere che non ricordo esattamente il momento in cui il titolo si è chiarito nella mia testa: sicuramente non prima di scrivere, più probabile dopo averlo messo insieme, ma non so a che punto del dopo. Tuttavia, ora è passato del tempo e l’Hotel Aster è diventato per me ormai un vero e proprio luogo, più che un titolo. Un aneddoto: con un’amica, che è stata anche una delle prime lettrici del libro inedito, abbiamo preso a usare l’espressione andare all’Hotel Aster quando vogliamo intenderci su un umore o una particolare condizione.

 

Mai come in quest’epoca l’idea di verso e la struttura del testo poetico si sono ampliate e ibridate. Qual è il pensiero dietro alla tua scelta formale?

MU: Hotel Aster per me è una storia in frammenti poetici. Il fatto che sia una scrittura ibrida, che non siano poesie tradizionali, che non si tratti di prose poetiche, che venga suggerita una trama ma non si possa parlare di narrativa, ha messo in crisi, in questi anni, le persone che si erano dimostrate interessate al testo a livello editoriale: come collocarlo? Ecco, io credo che la necessità di collocare a tutti i costi le scritture sia spesso infelice e credo anche che sia un’abitudine consolidatasi negli ultimi due decenni. In passato l’editoria, sia italiana che straniera, dava più spazio alle scritture senza la smania di definirle e incanalarle in un percorso di mercato e ho l’impressione che, dopo un blocco che sembra essere frutto più di una pressione esterna che di una scelta spontanea, alcuni spazi editoriali stiano provando a liberarsi da questi dettami.

 

Che peso ha, per te, l’uscita di un tuo volume su carta in un periodo storico in cui i versi viaggiano più spesso e a larga diffusione sugli schermi dei nostri cellulari?

MU: Non esagero se dico che quotidianamente i miei pensieri altalenano tra la volitività, la speranza dell’impegno, la gioia del fare e l’inutilità del tutto. Questo stato d’animo è un tritacarne in cui si inabissa il quotidiano ma anche lo straordinario e dunque anche l’uscita di un libro. Non mi pongo il problema dell’internet, della larga diffusione e mi sembra, a tratti, di credere ancora che sia viva un necessità che passa per la scrittura, per i materiali tangibili, per la scoperta fortuita, per la conservazione in uno spazio fisico. A volte mi dico che ciò è da annoverare nella natura umana, a volte mi dico sciocca. In ultima analisi, non è tanto dove viaggia la scrittura, ma come e come accade che incontri chi legge e come si deposita. I libri digitali li abbiamo creati, li utilizziamo, facciamo quasi tutto sullo schermo di un telefono, ma sembra che resti una stortura, un’incompletezza, uno scarto. Tema difficile questo e mai dicibile nella sua totalità, mai comprensibile dentro confini di certezza.

 
Immagina la scena: sei in libreria di fronte allo scaffale di poesia, un avventore si avvicina e prende in mano proprio il tuo libro… Continua la storia!

Mi è capitato, ho sorriso tra me e me per il caso che si compie, poi mi sono allontanata.