Dialogo con Lorenzo Pataro (finalista del Premio Pordenoneleggepoesia 2023)

Lorenzo Pataro (Castrovillari, 1998), laureato in Lettere moderne, ha pubblicato le raccolte di poesie Bruciare la sete (Controluna, 2018) e Amuleti (Ensemble, 2022), con prefazione di Elio Pecora, finalista al Premio Poesia Giovani di Pordenonelegge 2023. Sue poesie sono state pubblicate su riviste e su La Repubblica. Fa parte della redazione di Inverso – giornale di poesia. Nel 2023 è stato finalista Premio Poesia Giovani di Pordenonelegge 2023.

 
 

Azzurra D’Agostino – Che ne pensi dell’accostamento poesia e profezia?

Lorenzo Pataro – Mi è capitato proprio di recente di rileggere alcuni miei versi realizzando che spesso mi sono ritrovato a scrivere di situazioni che non si erano realmente compiute, ma erano entrate nel mio immaginario indirettamente tramite letture, per esempio. Ne ho scritto quindi come evocando la loro possibilità di accadere e qualche mese dopo – forse sono state solo circostanze concatenatesi al momento giusto – quelle stesse situazioni si sono verificate non dico esattamente a come le avevo descritte, ma molto, molto vicine. Con questo non voglio dire di aver predetto la realtà, ma che a volte la poesia permette questa visione netta del nostro io e di come viviamo nel mondo in qualche modo intercettando anche i nostri desideri, la possibilità che noi stessi facciamo poi accadere delle cose che appartengono in un primo momento soltanto all’immaginazione. Quasi come se permettesse un riconoscimento pieno di ciò che siamo e in questo senso avesse la capacità di prevedere, in base proprio a questa capacità di sondare dentro di noi, quali saranno le nostre azioni e di quelle azioni cogliere la bellezza che già ci apparteneva e già avevamo colto soltanto con la parola. Arthur Rimbaud ci credeva più di me e lo ha detto meglio quando ha scritto che “Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di pazzia; cerca egli stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza.”

 

AD – Che rapporto c’è secondo te tra tecnica e (prendiamo in senso lato il termine) ispirazione?

LP – Sicuramente è un rapporto non sempre lineare e ben definito. Credo che la tecnica debba andare a servizio dell’ispirazione e viceversa in maniera funzionale al singolo testo, quindi non è mai secondo me un rapporto che si può stabilire a priori, a volte prevale l’una o altra a seconda delle esigenze e per ogni autore questo binomio assume un ruolo diverso. Se ne manca una te ne accorgi subito, forse quando si amalgamano a tal punto da non riconoscere dove finisce l’una e dove comincia l’altra allora si ha un esempio di poesia ben riuscita. Ma questo poi rientra nel gusto soggettivo di ognuno. Io preferisco leggere senza accorgermi dello stacco netto tra le due, appunto perché mi piace quando in un testo l’autore sia stato tanto bravo da non farmi accorgere quanto in quel testo abbia inserito le sue conoscenze metriche, stilistiche, retoriche etc a servizio di ciò che invece è istintivo, appartenente alla vita vissuta, alla sua esperienza e a tutto ciò che il termine ispirazione può contenere.

 

AD – Cosa ti aspetti dallo scrivere poesia? Indica un autore che rappresenta il tuo ideale di poeta.

LP – La poesia vive una vita attualmente un po’ clandestina, quindi aspettarsi necessariamente qualcosa risulta quasi pretenzioso di per sé. Eppure ha questa capacità di generare comunque delle onde dopo aver gettato i suoi sassi, e a volte è bello scoprire anche solo semplicemente quali sono, se sono diverse da quelle che avevamo previsto, che cosa insomma la poesia ha suscitato al di là della nostra penna e della nostra voce. Forse non bisognerebbe aspettarsi nulla per poi rimanere sorpresi di ciò che accade dopo; se le parole hanno un peso, scoprire qual è il peso delle nostre può aiutare anche a capire in che direzione si sta andando e in quale muoversi in futuro. La prima voce che mi viene in mente come ideale di poeta è quella di Antonia Pozzi. Anche perché a proposito di aspettarsi qualcosa dallo scrivere poesia lei non hai mai pubblicato in vita e quindi la sua parola è come se da un certo punto di vista nasceva davvero come un’urgenza, un’impellenza slegata da logiche editoriali e simili. Lei ha saputo unire vita e scrittura in maniera così naturale e così autentica che da quando l’ho letta la prima volta è diventata immediatamente per me un faro.

 
 
Foto di copertina di Dino Ignani