Nome di paese: Ascensione di Mario Santagostini

Su Nome di paese: Ascensione di Mario Santagostini (Fallone editore 2025).

 

Una raccolta apparentemente piccola, apparentemente secondaria in una produzione attentamente storicizzata di raccolte più ampie. Eppure una raccolta densissima, non così piccola se si pensi che le dodici poesie del sottotitolo in realtà corrispondono a 26 testi.

Il libro è quasi un prosimetro, in cui cioè si alternano testi in poesia, in verso libero, e in prosa, ma mantenendo un tono coerente, con una serie di perni tematici che, appena sotto la superficie cioè mai scopertamente, per la classica “fretta di dire”, toccano temi di riflessione per nulla astratti: la memoria, la persistenza del passato, la nostra identità (la Rappresentazione di se stesso con cui si apre la raccolta), la precarietà e indeterminatezza del tutto, l’aleatorietà irredimibile del tempo, il scivolare nel nulla… Sono temi universali, direi classici, ma trattati alla luce del nostro sentire moderno o, meglio, del sentire moderno di un poeta, che lavora da tempo su questi temi e li ha sviluppati con tragica leggerezza in quello che con felice ossimoro ha definito, nella terza sezione di Una lettera arrivata, e mai partita, “Realismo magico”.

Del resto, questa raccolta definisce sempre più una poetica di cui è stato detto che l’io pare dissolversi – come nel celebre paradosso del gatto di Schrödinger – nella moltitudine dei possibili, il tempo allargato, onirico, lo sguardo e il racconto visionari, magici.” (Davide Toffoli, https://www.avampostopoesia.com/recensioni/santagostini-lettera – recensione a Una lettera arrivata, e mai partita, Garzanti 2022).

Tutto parte già dal titolo, da questo nome di paese misterioso eppure reale (e se ne citano altri); ed è un reale che sembra già sfaldarsi nell’improbabile, nel qui/non qui che ci consegna la fisica novecentesca, e che il testo di Santagostini rappresenta (per restare sullo stesso lemma) attraverso strutture spesso indecidibili, marcate dalla disgiunzione “o” – che apre a una rappresentazione alternativa e spiazzante. Sono 49 occorrenze, piazzate in punti strategici, ad aprire dubbi e porte. Si veda già al v. 4 del primo testo: “E arriva lontano. O si è perduto” – struttura ribadita a p. 15. Per non parlare dei “forse” e delle dubitative di cui è infarcito il testo.

Questa struttura, che rivela una strategia espositiva, entra spesso in dialettica con un’altra, caratterizzata dall’uso della congiunzione copulativa “e”, la quale accumula, anche caoticamente, elementi e percezioni eterogenei (di qui mi pare di vedere una consonanza con certo Cucchi, quello del Disperso): non è, intendo, soltanto una modalità espressiva che predilige la coordinazione alla subordinazione, ma una strategia, tanto che, a ben vedere, le due strutture rafforzano la visione coerente di una complessità, o meglio una indecidibilità non gestibile dalla mente razionale. Credo che la “magia” nasca di qui.

L’immergersi fantasioso, immaginativo nel passato e nei dubbi della mente (per cui si veda già Felicità senza soggetto, Mondadori 2014), apre a un cortocircuito fra realtà e immaginazione, o meglio tra reale e possibile. Parlando della comunione con i morti, Santagostini scrive ad esempio del “retrocedere” della memoria: “Che in certi momenti, chiede aiuto. E inventa” (p. 43); il poeta pensa addirittura a un tempo “incerto” in cui può aver vissuto prima dell’anno di nascita, il 1951, e si proietta in altre occasioni, in altre maschere.

Lo sguardo verso il passato, verso le figure amicali del mondo della poesia che sono così usuali in Santagostini (Raboni, Erba ed altri), ma anche verso il padre e gli amici, abbraccia tantissime figure che rese di nuovo presenti sulla pagina dialogano con l’oggi, con l’occhio che vede e la mente che trasforma, tanto che il percorso all’indietro della memoria diventa ben più complesso e travalica persino la compresenza tanto mitizzata di passato e presente. Se tutto va in nulla, la strategia immaginativa (e di qui testuale) di Santagostini invece consiste proprio nell’immaginare altre possibilità, nell’aggiungere il possibile a un reale aleatorio. Possibile immaginare se stessi prima della propria nascita (p. 37), o confluire in altre personae, maschere alternative cui si dà voce (p. 39), caratteristicamente per cercare delle mediazioni, dei ponti fra passato e presente, ma anche fra un’utopia con cui Santagostini fa di continuo i conti, e la realtà attuale.

La voce del poeta dice che si sente “né giovane né vecchio” (p. 41). E specifica: “Ma è come sognassi tutte e due le età, un primo pomeriggio estivo”. Non possono non tornare alla mente i versi di Shakespeare (Measure for Measure) citati da Eliot: “Non sei né giovane né vecchio,
ma è come se in un sonno dopo pranzo sognassi di entrambe queste età.” Il sogno, la sospensione della razionalità, in cui possiamo decidere di immergerci ma non di tornare. È significativo soprattutto questo richiamo all’eliotiano Gerontion, la poesia che davvero apre la Modernità (quella di Heisenberg, Gödel, Schrödinger, Planck che sarebbero arrivati a ruota). È la mise en abîme della freccia del tempo e della consistenza del reale. Il dubbio, insomma. Parlando dei morti, ecco infatti la parola chiave: “E a volte, dubito che siano mai stati tra noi” (p. 42).

Questa mi pare la nota finale di un libro perfettamente calibrato, ribadita nelle ultime parole della raccolta: “Decidi tu, chi essere, chi non essere. Se rispondere, non rispondere mai. Aspetto” (p. 44).

Mauro Ferrari