Tutto comincia da un’interruzione. Cosa rimane dopo l’addio? Auspici, resti organici, ricordi aggrappati agli oggetti, foto non scattate, un mondo che finirebbe se rimanessimo al Prologo. Ma la nostra vita è fatta degli incontri che vengono a trovarci facendoci rivivere l’amicizia e la disperazione, delle verità scambiate al buio che possono essere più forti delle solitudini, e così rimaniamo storditi e incantati, seduti in un’osteria o in piedi in mezzo a una piazza senza nome. Ecco allora che la sezione Eravamo poco più che ombre ci mostra fantasmi indimenticabili: Mohamed a Bruxelles, Faruk a Srebrenica, Edi a Račja Vas, Maria la zingara, il bigliettaio del Museo delle fogne a Parigi, la barista cinese che a Milano doma i suoi clienti con schiocchi di frusta - veri e propri racconti che condensano un tempo e durano più di loro stessi, grazie a versi in cui la sintassi segue un ritmo quasi epico, capace di accogliere quel vasto mondo di figure perché sa che le storie degli altri ci trasformano. Sullo sfondo luoghi al centro o ai margini dell’Europa, e soprattutto Trieste: il luogo dei fantasmi, dei fragili e dello stupore. Infine c’è la sezione, allocutoria e oracolare, Passa come una luce, dedicata alla viandanza: le ombre di prima riempiono lo zaino per poter ripartire e perdersi, stare negli elementi della natura, sognare nel bosco, vivere andando incontro alle cose che verranno, prendere congedo da sé, senza difese. Fino all’Epilogo: “ora che tutto è deciso” non c’è fine, tutto ci porta sempre a un nuovo sentiero.
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